Racconto di uno schiavo

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  1. Sonic The Hedgehog
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    Ora vi racconto ciò che accadde e di come T. mi educò a stare al suo servizio.
    Era un giorno di tarda primavera e faceva abbastanza caldo.
    Lei era sdraiata sul letto con i pantaloni corti, i suoi grandi piedi nudi sul letto (portava il 40).
    - Vieni qui - mi disse T, invitandomi vicino a lei.
    Io mi avvicinai, senza sapere a cosa andavo incontro (poco più tardi rimpiansi quel momento).
    - Siediti lì- disse indicando uno spazio vicino ai suoi piedi nudi.
    Pensavo forse che avesse bisogno di un massaggio o cos’altro e mi sedetti vicino ai suoi piedi.
    Lei alzò il suo piede nudo e me lo mise sulla spalla, allungandomelo poi sulla faccia. Io sentii l’odore sudato del suo piede nudo e tentai inutilmente di opporre un minimo di resistenza con le mani. Stetti qualche minuto ad annusare l’odore dei suoi piedi nudi, opponendo sempre meno resistenza, vinto dal suo piede insistente, bellissimo piede da ragazza venticinquenne.
    –Inginocchiati- mi disse.
    Io mi inginocchiai vicino al letto, mentre il suo enorme piede non lasciava il mio viso.
    - Leccami i piedi- disse, tenendomi ora il naso tra le dita.
    Io non capivo ciò che volesse, non l’avevo mai fatto.
    - Hai sentito? Tira fuori la lingua e leccami i piedi!- disse un po’ più decisa.
    Io osservai il suo piede, senza fare nulla, con il naso tra le sue dita.
    - Lecca! – disse nervosa.
    Io tirai fuori timidamente la lingua e per la prima volta assaggiai il gusto del suo sudore. Le leccai debolmente la pianta del piede.
    Mi liberò finalmente il naso.
    - Scendi con il naso sul tallone- disse.
    Io obbedii e, dopo avere brevemente sostato sulla pianta, iniziai ad annusare il suo tallone.
    All’improvviso partì una tallonata che mi raggiunse su bocca-guancia.
    Con il viso dolorante fui sbalzato dal colpo sul tappeto.
    Lei mise i suoi piedi sul mio torace. Osservandomi dall’alto disse:
    - Impegnati di più con la lingua, se no devo pensare che sei buono solo a farmi da tappeto.
    Mi sfregò il piede sul naso e poi fece una brutta cosa: prima un piede e poi l’altro salì con tutto il suo peso sulla mia faccia.
    - Così tratto il mio tappeto!- disse.
    Soffrii pochi ma interminabili minuti sotto il suo peso; poi scese.
    - Osserva il mio tappeto-
    Con il viso dolorante mi voltai.
    - Sono 2 anni che ce l’ho e da splendido che era, ora e una schifezza: sai il
    calpestio quotidiano.
    Io guardai il tappeto piatto e calpestato.
    T. , guardandomi, disse:
    - Se non vuoi finire così, impara a leccare bene i piedi! Alzati su!
    Rialzandomi lentamente, tenendole il piede, lacrimando per il colpo subito, tornai a leccarle il piede.
    - Non va bene: devo punirti ancora. Scendi con il naso sul tallone!- mi ordinò.
    - T..ti prego –dissi io tremante.
    - Fallo!- disse lei solamente.
    Il mio naso scese tra le sue dita e poi sulla pianta e quindi sul tallone.
    Chiusi gli occhi in attesa della tallonata.
    Che non veniva.
    Sentivo l’odore di sudore misto a saliva.
    Le accarezzai le caviglie.
    Avevo paura.
    Un’altra forte tallonata mi raggiunse sul viso.
    Non mi lasciò cadere: mettendo un piede dietro il collo, iniziò a percuotermi in faccia con l’altro piede nudo ancora un paio di volte.
    Ormai ero intontito e dolorante: iniziai ad avere sintomi di alterazione di coscienza, come istupidito dalle pedate. La leccai debolmente e arrivò, a sorpresa, una tallonata sul naso. Mi allontanai d’istinto.
    - Ora lecca bene!- ordinò.
    Ero in totale mercé dei suoi piedi nudi crudeli.
    Tirai fuori la lingua ancora e, debbo dire, ce la misi tutta per soddisfarla leccandola ad ampie linguate sulle piante dei piedi e le dita.
    - Va un po’ meglio! –disse, stendendosi, rilassandosi e godendo di quel massaggio orale ai suoi piedi nudi sudati.
    La leccai a lungo sulla pianta e sopra fino alla caviglia e tra le dita.
    Avevo in bocca un gusto terribile di sudore e più leccavo e più avevano odore.
    Dopo non meno di 10 minuti la nausea era insopportabile e smisi di leccarla.
    Lei si era quasi assopita, tanto si era rilassata ma quando smisi si ridestò quasi subito.
    - Continua: mica ti ho detto di smettere?-.
    Ripresi a leccarle i piedi ma molto debolmente.
    - No..non ci siamo…
    - Ti prego… Basta! –dissi io –Tra poco vomito…- ed ebbi un primo conato.
    - No, non ci siamo… Avvicina il naso al tallone…
    - B..basta… mi fai male…
    - Forza, avvicinati!- ordinò lei.
    Oramai piangendo avvicinai la bocca e subito ricevetti una tallonata.
    Non caddi, resistendo per poco: la tallonata mi aveva preso la faccia in pieno.
    - Ancora una!
    - N..no..
    - Avvicinati!
    Altra tallonata.
    Mi prese ancora sul viso.
    - Ancora una!
    Succube dei suoi piedi, mi avvicinai a prendere passivamente la pedata sulla faccia. Me ne tirò una forte e mancò davvero poco che crollassi sul tappeto: avevo paura che salisse ancora su di me e non volevo crollare.
    - Ancora una!
    Senza avere ormai più presente quello che facevo, mi avvicinai ancora.
    Pedata.
    - Ancora una!
    Ancora mi avvicino.
    Pedata molto forte. Io oramai non capisco più nulla e mi avvicino senza che me lo dica più.
    Pedata. Ho oramai la faccia pesta a forza di pedate e ancora ne ricevo. E ogni volta mi avvicino per prenderne un'altra.
    Alla fine crollo a terra sul tappeto.
    - Bene: vedo che hai deciso di fare il tappeto!
    Io non ne capisco più molto e sento solo il suo peso crescere su di me, sul mio torace. Poi sale sulla mia faccia e su di me cala la notte. Scende dopo un po’.
    Nella stanza entra la sua amica D.
    Mi guarda a terra tutto pesto.
    - Un tappeto nuovo! –dice lei.
    - Si, ti piace?
    - Si –dice lei- Vediamo se va bene come zerbino…
    Sale con le sue scarpe da ginnastica bianche sul mio torace e se le pulisce.
    Io mugugno qualcosa di incomprensibile, schiacciato dal suo peso.
    - Ci hai messo molto a ‘domarlo’? –chiede D.
    - No, Solo qualche pedata.
    - Non poche –dice lei, osservando la mia faccia pesta.
    - Non più di una ventina, forse trenta: continuava ad avvicinarsi, ne voleva ancora e io non ho smesso finché e crollato…
    - Ah, cattivella.. sei un pochino sadica, vero?
    - Perché tu no?- ribatte lei, osservando che si trovava ancora sul mio torace a pulirsi le scarpe e che anzi mancava poco che se le pulisse pure sulla mia faccia.
    Lei scende, toglie le sue scarpe e appoggia su di me i suoi piedi nudi.
    Chiudendo le sue dita sul mio naso dice, guardandomi:
    - Poverino, farai una vita d’inferno da oggi in poi.
    Mantennero le promesse.
     
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  2. G i a n l u™
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